martedì 20 gennaio 2009

Legalizzatela, Parte V

Fino all’inizio del ‘900 la canapa era coltivata ed usata sia come fibra tessile sia per scopi terapeutici. Nel corso degli anni ’30 negli Stati Uniti la canapa fu inserita tra le sostanze stupefacenti e quindi ne fu vietato l’uso. A questa linea si adeguarono, poco alla volta, tutti i paesi occidentali.
Attualmente le posizioni dei vari Paesi nei confronti della cannabis per usi terapeutici è molto variegata, si parla, come dicevamo, di derivati della cannabis che possono essere utilizzati sia sotto forma di capsule sia di spray sublinguale. In qualche caso anche di fumo, laddove (Canada, Olanda, alcuni stati degli USA) da circa un anno si vende la marijuana in farmacia. Esiste poi la "vaporizzazione" che è a tutti gli effetti come il fumo, ma non bruciando la materia vegetale non produce composti irritanti né cancerogeni. La scomodità è nel fatto che occorre un vaporizzatore, un apparecchio da tavolo che non si può portare in giro.
In un paese proibizionista come Israele è previsto e consentito l’uso di questi farmaci, così come in Spagna, in Olanda, in Germania, in Canada e negli Stati Uniti.
In Italia non è possibile neppure avviare una sperimentazione controllata presso centri ospedalieri, che garantirebbero la serietà e la correttezza delle procedure, con garanzia per i pazienti e per la comunità.
Si noti bene che, dal punto di vista legislativo, l’uso terapeutico dei derivati della cannabis è autorizzato dal Testo Unico sulle sostanze stupefacenti (DPR 309/90). In realtà è praticamente impossibile trovare un medico che si assuma la responsabilità di fare la richiesta ed avviare le procedure (estremamente farraginose) per l’importazione di questi farmaci. Questo ci dice che uno dei primi ostacoli da superare è di carattere culturale ed affonda le radici nella preparazione universitaria dei medici. Si pensi che l’Italia, nonostante sia stata approvata la legge sulla somministrazione degli oppiacei per alleviare il dolore dei malati terminali e non, è la nazione che utilizza meno di tutte le altre queste sostanze, dimostrando una insensibilità feroce verso la sofferenza altrui.

In Inghilterra, a Londra, il dott. Thompson ha condotto una sperimentazione con medicinali a base di cannabis su malati di sclerosi multipla e ne ha relazionato ad un Convegno che si è tenuto ad Asti alla fine del 2003. Queste alcune delle conclusioni,sicuramente provvisorie, della sperimentazione:
“Le potenzialità terapeutiche dei derivati della Cannabis hanno trovato un'importante conferma. Perlomeno nel trattamento di alcuni sintomi associati alla sclerosi multipla. Una sperimentazione clinica che ha coinvolto 630 pazienti in 33 centri del Regno Unito ha rivelato che la somministrazione per via orale di cannabinoidi, i principi attivi – come il Thc - della "Cannabis sativa", produce effetti benefici sulla spasticità e i suoi correlati (spasmi muscolari, indolenzimento e dolore)”.
I risultati della ricerca pubblicata su The Lancet, sono stati presentati da Alan Thompson del National Hospital for Neurology and Neurosurgery di Londra, che ha coordinato l'indagine, al convegno internazionale "Trattamenti convenzionali ed innovativi nella sclerosi multipla" che si è tenuto ad Asti l'8 novembre per iniziativa della locale sezione dell'Aism (Associazione italiana sclerosi multipla).
"Sono risultati molto promettenti", commenta Vincenzo Di Marzo, coordinatore dell'Endocannabinoid Research Group del Cnr di Napoli e anch'egli relatore al convegno internazionale, "frutto di uno studio molto accurato e della sperimentazione clinica di più vasta portata condotta finora".
“Gli indicatori relativi alla mobilità, e soprattutto le valutazioni soggettive dei pazienti sulla propria condizione, hanno fatto rilevare significativi progressi.” Quando si parla di uso terapeutico della cannabis, non siamo nello specifico campo delle medicine alternative,così dette, in quanto si parla di uso di medicinali registrati dalla Farmacopea Ufficiale ed eventualmente distribuiti tramite le farmacie degli ospedali.Ma, e soprattutto, si tratta di affermare il diritto di chi è affetto da malattie attualmente non curabili e quasi sempre degenerative, a poter tentare tutte le strade possibili che la scienza e la farmacologia offrono per ottenere almeno una migliore qualità di vita.

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